Pedagogia di genere e formazione
Il percorso di formazione alla pedagogia di genere è particolarmente utile agli e alle insegnanti, sia per colmare le lacune di una disciplina che non è presente nella maggior parte delle facoltà universitarie italiane (anche di pedagogia e scienze della formazione primaria), sia per attuare buone pratiche di educazione di genere all’interno dell’istituzione scolastica, come suggerito dal comma della legge 107 del 2015, che recita: “il piano triennale dell’offerta formativa deve promuovere l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni […]”
La pedagogia di genere è una disciplina da più di 40 anni: esistono studi sul conservatorismo nei libri di testo, sull’interiorizzazione degli stereotipi di genere, in ambito linguistico nel 1986 è stato pubblicato, per volere del consiglio die Ministri di allora, il volume “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, ci sono studi sul canone letterario che tende a tramandare modelli storici legati alla cultura ufficiale (scritta dagli uomini) tralasciando il punto di vista femminile. Spesso si legge Victor Hugo, ma non Simone de Beauvoir, si commenta l’Emile di Rousseau tacendo il ruolo assegnato a Sophie. Esistono, oggi, strumenti didattici volti a colmare questo vuoto, ma bisogna ancora costruire una coscienza della loro necessità.
Oggi, la costruzione delle identità è più complessa e più ricca rispetto al passato, eppure, in troppi punti è ancora influenzata dalle antiche modalità di costruzione dei generi, che vengono trasmesse per inerzia dalle agenzie di socializzazione, che continuano a tacere su modelli portanti della società umana. Il termine patriarcato, ad esempio, non compare in nessuno dei testi più diffusi per le scuole. Ciò che non viene nominato dunque, non permette di costruire immagini nella nostra mente. Diviene così inesistente.
Parlare di genere a scuola non equivale a proporre contenuti, ma offrire uno sguardo diverso sul mondo (Priulla, 2020).
La dimensione del genere coinvolge il piano del “saper essere”, ovvero la sfera individuale, la conoscenza di sé, i condizionamenti culturali. Il primo passo sarà il “partire da sé”, usare l’esperienza come fonte di conoscenza: far emergere rappresentazioni di storie sociali condivise e le aspettative sociali legate all’appartenenza ad un sesso piuttosto che ad un altro vissute da ciascuno. L’analisi dei fenomeni storici legati al genere aiuterà la riflessione.
Per questo motivo esperienze di formazione alla pedagogia di genere non sono utili solo agli e alle insegnanti, ma anche a educatori ed educatrici, psicologhe e psicologi, persone che, a vario titolo, e non necessariamente per esigenze professionali, si occupano della promozione e della cura.
Verranno prese in considerazione ricerche e studi recenti come sulle differenze di genere nell’editoria scolastica, la riflessione critica sull’evoluzione della lingua, l’esperienza dell’associazione Scosse[1] , libri per bambini/e case editrici, esperienze di toponomastica femminile e alcuni documenti che testimoniano e descrivono progetti di educazione di genere intrapresi in diverse scuole -lombarde e non- negli ultimi dieci anni.
Non ultime in ordine di importanza verranno prese in considerazione le buone pratiche di educazione al genere.
Il numero di incontri varia fino ad un massimo di quattro, da concordare con gli interessati e le interessate.